Quante volte non riusciamo a dire di “no” nella nostra vita quotidiana?
E come è difficile dire questa breve parola ai nostri figli per paura di farli stare male o di creare conflitti?
Un “no” può sembrare crudele ma la verità è che si rivela necessario per il fine educativo.
Siamo condizionati dalla struttura della famiglia del “Mulino Bianco”, così perfetta e sorridente, sempre disponibile e cordiale; ma noi tutti sappiamo che essere una famiglia è ben diverso da questa allegorica metafora.
Certo, l’armonia affettiva è importante come lo sono anche la felicità e l’amore ma per arrivare a tale situazione sono necessarie la comunicazione, la relazione e perché no, lo scontro.
Come funzionava prima…
È vero che noi siamo il frutto del passato, un passato recente che ha lasciato un’impronta marcata sui nostri genitori: i rapporti erano di tipo patriarcale, i si e i no erano decisi solo dai padri, i capofamiglia, ed erano indiscutibili.
Ma questo non vuol dire che un’educazione così rigida e poco democratica badasse al benessere dei bambini. Al contrario, si creava una dinamica del terrore in cui la paura e il senso di colpa erano i sentimenti dominanti.
Non era pensabile dire a un genitore: “questo non mi piace o questo non mi va!”; la punizione era sempre in agguato!
Come funziona ora…
Con il tempo l’idea di educazione si è orientata verso l’accudimento del figlio.
Il bambino è diventato il centro delle nostre attenzioni dalla nascita alla crescita e con esso si è generato un senso di protezione che sfocia nella paura del non ferire, di non voler sembrare crudeli o troppo freddi.
Quante mamme non riescono a lasciar andare i propri bambini nella scuola primaria per la paura di catapultarli in un ambiente ostile, costretti a doversi difendere soli da chissà quale mostro?
O quanti papà che non riescono a distogliere il figlio dalle tecnologie negli orari dei pasti…
Non vogliamo i contrasti, non vogliamo sentire capricci e urla e questo ci porta ad assecondarli.
Perché bisogna imparare a dire no
Il “no” implica l’altro nella relazione, non si limita solo ad una negazione nelle azioni ma anche nel rapporto, poiché all’inizio crea, inevitabilmente, distanza.
I “no” aiutano a crescere, a creare dinamiche familiari chiare ma non autoritarie.
I genitori devono essere dei punti fermi e devono definire il loro ruolo.
I “no” non sono tutti uguali e mutano con l’età
- Nella prima infanzia inizia l’esplorazione e il “no” ha la funzione di indirizzare il bambino nello spazio. Sono “no” semplici e decisi, dei divieti che non richiedono grandi spiegazioni.
- Tra la prima e la seconda infanzia c’è un forte egocentrismo del bambino che si scaglia con l’incontro dell’altro e ciò crea frustrazione. Il bambino inizia a percepire i suoi limiti per la prima volta.
- Nella seconda infanzia e nella preadolescenza c’è il periodo in cui si deve sviluppare l’autonomia e per questo si ha bisogno di regole. Spesso si pensa alle regole come qualcosa di limitante, al contrario esse servono per orientarli e renderli autonomi.
- Nell’adolescenza si assiste ad un periodo complesso in cui il “no” genera conflitto. I “no” non si possono più imporre come prima ma occorre comunicare e trovare compromessi.
A cosa serve il “NO”
I “no” servono come meccanismi di attivazione per trovare nuove strategie e soluzioni, per sviluppare autonomia ed evolversi dal punto di vista personale.
I genitori non devono avere paura di far soffrire i propri figli, non devono assecondarli in ogni richiesta, non devono aver paura di sembrare poco disponibili.
Dire dei “no” non vuol significare essere dei cattivi genitori”.
Ricordiamo che il “no” implica un conflitto ma questo è necessario per sviluppare l’autonomia e diventare grandi!
Dott.ssa Sabrina Saccucci
Pedagogista Familiare